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Test estremo Nikon Z6 - Dagli iceber della Patagonia alle foreste tropicali dell'Amazzonia

 

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Quando mi viene chiesto quale libro acquistare per avvicinarsi alla fotografia la mia risposta è da sempre: "un illustrato su Caravaggio". Da questo mio pensiero si può facilmente intuire il rapporto che ho con la fotografia. A qualcuno potrà quindi sembrare strano se nonostante le mie radici piuttosto tradizionalistiche io sia da sempre fortemente attratto da qualsiasi novità tecnologica, ritenendola parte fondamentale della sperimentazione e quindi alla base della fotografia, come le luci e le ombre del “pittore maledetto”.

Venuto a conoscenza dell'uscita dei nuovi modelli "Nikon Z" iniziai a cercare nel web documentazione e recensioni. In un primo momento la ricerca non fu troppo approfondita, mi limitai a scoprire pregi e difetti, almeno sulla base della teoria. Dopo aver testato alcuni modelli mirrorless di altri brand, non ero mai riuscito ad innamorarmi veramente del nuovo sistema, complice soprattutto il mirino digitale che mi aveva sempre lasciato perplesso. Il primo contatto con la nuova serie Nikon avvenne in un negozio vicino a casa, dove, piuttosto scettico, misi subito a dura prova proprio le caratteristiche del mirino, inquadrando il commesso al quale avevo chiesto di correre avanti e indietro al lato del bancone. La luce era scarsissima e la mia caparbietà nel testare duramente quello che ritenevo potesse essere il tallone d'Achille del nuovo prodotto mi indusse a convincermi, quasi ciecamente, che non era ancora arrivato il momento di cambiare. Durante i giorni a seguire mi tornò spesso in mente il test fatto in negozio e le foto scattate al commesso in corsa, come se qualcosa fosse rimasto irrisolto. Ci fu successivamente un secondo contatto quando, trovandomi in Nital per ritirare del materiale, incontrai casualmente uno dei training specialist al quale accennai della mia curiosità per le nuove mirrorless Nikon. Mi portò una Z7 per realizzare qualche scatto dopo avermi fornito indicazioni e suggerimenti. Uscito dallo stabilimento mi avvicinai alla strada per fotografare le vetture che passavano ad alta velocità. Scattai diverse immagini utilizzando tempi lenti in cerca di un effetto panning con scatti in sequenza rapida, con lo scopo principale di testare mirino digitale e autofocus. Rientrai in stabilimento e rivolsi l’obiettivo verso le foglie di una pianta a lato della porta principale per mettere alla prova la precisione dell'autofocus su una superficie inclinata e piuttosto omogenea. Successivamente inquadrai altri oggetti statici e ben definiti per poter verificare successivamente a monitor la qualità dell'immagine (test per il quale esistevano già diverse recensioni nel web).
In quei giorni iniziavo i preparativi per un viaggio che sarebbe partito dalla Patagonia per terminare nella foresta dell'Amazzonia. Quale occasione migliore per sperimentare i nuovi modelli… Mi recai quindi presso un rivenditore locale e ordinai una Z6. La mia scelta relativa alla Z6 rispetto alla Z7 fu dovuta principalmente a 2 fattori: possibilità di scattare con sensibilità maggiori e una più rapida velocità di scatto rispetto alla Z7.
A dicembre raggiunsi le terre australi del Sud America a mi misi all’opera, fotografando inizialmente gli iceberg che si staccavano dalle lingue di ghiaccio prodotte dall'immenso Campo de Hielo Sur. Trascorsi poi diverse ore al vento e al freddo in attesa che i primi raggi di sole colorassero di rosso le rocce granitiche della cordigliera. Poi arrivò il momento dei pinguini dei guanachi e dei condor. In pochi giorni ebbi l'opportunità di trovarmi di fronte a situazione estreme e piuttosto varie, sia per i soggetti che per la luce.
Quello che inizialmente rappresentava per me uno scoglio quasi insormontabile (il mirino digitale), si stava rivelando una sorpresa positiva. La possibilità di calibrare e verificare in tempo reale la sovra o sottoesposizione delle immagini diventava sempre più significativa rispetto al tanto temuto effetto ghosting, percettibile solo in particolari situazioni. Altro aspetto che apprezzai presto del mirino digitale fu proprio il tipo di immagine molto simile a quella che avrei trovato a monitor in fase di visualizzazione o post produzione. Non credo di scostarmi tanto dalla realtà affermando ad oggi più del 95% delle immagini scattate viene riprodotto e visualizzato solo attraverso i monitor. Per questa ragione i nostri occhi si sono ormai abituati a immagini che non rispettano la realtà ma sono alterate sia in termini di luminosità che di cromia. I visori digitali serie Z offrono tale immagine già in fase di composizione e scatto, anticipando quello che sarà il risultato finale e influenzando di conseguenza (positivamente, anche se non in tutte le situazioni) anche il tipo di inquadratura scelta.

Altre mie perplessità riguardavano aspetti estremamente pratici come il dichiarato limite della durata delle batterie (forse eravamo solo troppo ben abituati in precedenza, con batterie che chiedevano di essere sostituite dopo un numero incredibile di scatti). Così, per ridurre il dispendio di energia disinibii la visualizzazione automatica della foto nel monitor dopo lo scatto (impostazione che imparai ad utilizzare già con le prime reflex digitali).

Inizialmente il tempo di ritardo d’accensione da quando azionavo la levetta on/off rappresentò un problema. Per risparmiare energia spegnevo la macchina fotografica quasi ad ogni scatto, senza nemmeno farla andare in modalità standby. Al momento dell'accensione mi trovavo quindi nella condizione di dover attendere quell'istante che in certi casi può fare la differenza. Prendendo confidenza col mezzo decisi di spegnarla con meno frequenza, sapendo di poter eventualmente contare su altre due batterie di scorta. In realtà anche in modalità standby la Z6 necessita di un istante (spesso prezioso) prima di essere operativa, così per escludere anche questo problema e avere tra le mani l’apparecchio immediatamente pronto allo scatto disinibii lo standby. Anche con la nuova strategia non mi capitò mai di usare più di due batterie in uno stesso giorno, risolvendo così il problema del ritardo d’accensione.

Certo la notizia della mancanza della doppia slot per le card di memoria non ha fatto fare i salti di gioia a nessuno, ma credo si debba tener conto che non stiamo parlando di un corpo macchina professionale ma di un semiprofessionale che vuole presentarsi estremamente compatto, leggero ed agile. Anche la presenza di pochi tasti esterni fa parte della stessa filosofia costruttiva, sostituiti egregiamente dal tasto "i", attraverso il quale si accede immediatamente ai comandi principali che appaiono sul touch screen.

L’anello adattatore dedicato all’utilizzo degli obiettivi reflex Nikon rappresenta un accessorio in più da tenere in borsa, ma è anche l’unica opzione per recuperare lo spazio tra lente e sensore, ora non più occupato da specchio e meccanismi vari, riducendo così notevolmente pesi e ingombri quando si utilizzano obiettivi sere Z. Per essere più rapido nella sostituzione lenti, invece di portare l’anello adattatore come pezzo separato decisi fin dall’inizio di lasciarlo montato su uno dei due obiettivi che sapevo avrei utilizzato con maggiore frequenza nel corso della giornata in alternativa al 24/70 f4 serie Z (solitamente il 17/35 f2,8 o il 70/200 f2,8).

Altro aspetto interessante che però non testai in quanto non se ne presentò la necessità, è lo scatto totalmente silenzioso. Mi toccherà attendere agosto, quando a distanza ravvicinata dagli elefanti del Botswana potrò continuare a fotografare noncurante degli ordini delle mie guide di fare assoluto silenzio per non spaventarli.

In pochi giorni mi resi conto che molto era cambiato con i nuovi apparecchi e che avevo tra le mani un oggetto che in parte stava cambiano il mio modo di fotografare.

Terminato il tour in terre australi partii per l’Ecuador, dove avrei collaborato inizialmente con Padre Giovanni Onore, uno tra i massimi specialisti di entomologia al mondo. Per le macro feci uso in alcuni casi di un SB800 abbinato all’ormai fedelissimo 24/70 f4 serie Z, con i quali realizzai scatti ben più che soddisfacenti, mettendo a dura prova il nuovo sistema di autofocus, soprattutto per “catturare” gli inquieti rettili e i colibrì in volo.

L’esperienza successiva, alla ricerca delle popolazioni Huaorani nella foresta Amazzonica resterà una delle più straordinarie della mia vita. Per raggiungere la zona interessata navigai dodici ore a bordo di una piccola canoa a motore che per poter passare al di sotto dei tanti tronchi abbattuti dal vento non presentava alcuna copertura a protezione di sole e pioggia. Attraversammo poi le mistiche aree intangibile dei guerrieri “non contatti”, un clan di Huaorani composto da circa 250 individui che ancora oggi non accetta alcuno scambio con altre popolazioni. Solo l’anno precedente avevano attaccato e ucciso a colpi di lancia una coppia di indigeni locali fermi lungo il fiume intenti a liberare un passaggio.

Le condizioni di luce scarsa, sia nella foresta che nelle capanne, mi obbligarono spesso a lavorare al limite della sensibilità offerta dal sensore. Fu in quei momenti che apprezzai particolarmente lo stabilizzatore del sensore in quanto mi permetteva di scattare a mano libera, riducendo i tempi di scatto da 1/50” a 1/5” (in casi estremi, anche 1/2,5”), con lunghezza focale 70 mm, senza mai riscontrare alcun effetto mosso nelle immagini.

Il peso e le dimensioni contenute della Z6 resero poi particolarmente agevoli le riprese fotografiche in foresta, dove mi trovai costretto a correre insieme ai cacciatori armati di lance e cerbottane. Per fotografarli frontalmente ero costretto a superarli, anticipando le loro traiettorie in un ambiente fitto dove non mancavano certo le insidie.

Un totale di tre batterie e due schede di memoria da 64 Giga risultarono sufficienti per i 9.628 scatti realizzati nell’arco di una settimana.

Una pioggia violenta e incessante mi accompagnò per le dodici ore di navigazione di ritorno, costringendoci a proteggere il materiale con gli spessi teli in plastica acquistati prima di iniziare l’avventura.

Nel corso dei due mesi di viaggio ebbi modo di approfondire la conoscenza con la Z6, che già dai primi giorni mi diede nuovi stimoli e soddisfazioni. A parte gli accorgimenti sopraelencati, adottati per sopperire ad alcune caratteristiche specifiche che avrebbero potuto rappresentare delle criticità, non riscontrai alcun tipo di problema o esitazione da parte della nuova attrezzatura, nemmeno di fronte alle più avverse condizioni climatiche e ai maltrattamenti a cui la sottoposi, meritandosi da parte mio l’appellativo di “guerriera in abiti da signora”.